Da TEMPI del 1-12-2010
«Il club della dolce morte dimentica che non c’è gioia senza dramma. La bellezza si nasconde nel mistero della precarietà». Parla l’ateo Mertens, una figlia uccisa dalla spina bifida e dieci bimbi malati in affido.
«Chi di noi non è imperfetto? Mia figlia è stata il regalo più bello perché mi ha insegnato ad amare la vita, a stupirmi di ogni cosa, con una simpatia e una dolcezza inconfondibili»
I PROMOTORI DELL’EUTANASIA sono tornati all’attacco. Dolci come la “loro” morte, ingannatori come sempre. La piattaforma scelta per il grande spot questa volta è Vieni via con me, la trasmissione-evento di Raitre. Nella puntata del 15 novembre Roberto Saviano ha messo in scena per venti minuti il “fine vita” di Piergiorgio Welby, affetto da distrofia muscolare e morto, dopo una lunga campagna a fianco dei Radicali, per mano di un medico che gli ha “staccato la spina”. Welby voleva che il respiratore gli fosse tolto, pontificava Saviano in tv. La sua vita «era già finita», e oggi Piergiorgio è l’eroe che voleva «essere libero di andarsene quando diventa un peso», che si è immolato per morire legalmente in Italia, piuttosto che nella Svizzera dove «si può fare. Lì ti
fanno addormentare». Pensieri perbenisti che nascondono impulsi degni delle socie tà primitive, dove la malattia e il dolore erano insostenibili e ripugnanti. Pierre Mertens, psicoterapeuta belga, ateo dichiarato e presidente della Federazione internazionale spina bifida, racconta a Tempi che invece è ancora possibile per noi contemporanei accettare il sacrificio di un malessere e trovarci dentro perfino la felicità.
Dottor Mertens, lei ha accudito per II anni una figlia affetta da spina bifida. Eppure questa contraddizione che le ha scombussolato la vita, lei la chiama il «dono più grande che potessi ricevere». Perché?
Tutti vorrebbero il meglio per i figli. I problemi chi se li augura? Ma, c’è un ma: la realtà non ne è esente. Noi nasciamo tutti diversi, con problemi o difetti. E la disabilità è una delle possibili diversità. Io quando nacque Liesje andai in crisi. I medici mi parlavano di conseguenze terribili, non mi dicevano delle abilità che mia figlia poteva sviluppare. Purtroppo circolano idee distorte sulla disabilità, infatti spopola la diagnosi prenatale, per evitare che nascano figli imperfetti. Ma chi non lo è? Mia figlia è stata il regalo
più bello perché mi ha insegnato ad amare la vita, a stupirmi di ogni cosa, con una simpatia e una dolcezza inconfondibili.
Come è riuscito a passare dalla paura iniziale alla gioia?
Mi ha aiutato conoscere alcuni genitori che vivevano felici coi loro figli disabili. In loro vedevo speranza e nei bambini gioia. Anche mia moglie, che non si è abbattuta e ha cercato aiuto, è stata fondamentale. Io non ho fede, ma devo ammettere che soprattutto chi crede non ha paura e riesce a gioire in circostanze davanti a cui altri scappano. In questo mondo le informazioni ti atterrano, c’è bisogno di esempi di vita così. Per questo porto nel mondo la Federazione spina bifida, che aiuta e fa incontrare le famiglie dei disabili.
Liesje «aveva molte doti, reagiva e mi dava pace», dice. E i malati che vivono per anni in stati di coma senza dare segnali?
Innanzitutto vorrei vedere se queste persone sono davvero come le dipingono i media. Poi, certo, se un malato sta morendo non bisogna accanirsi: mia figlia, dopo aver tentato di tutto e dopo che lei stessa aveva lottato fino alla fine, l’abbiamo lasciata andare. Ogni caso è a sé, ma ogni malato dà sempre dei segnali. Anche solo semplicemente esistendo, ti fa capire quando è al limite. Insomma, se si vuole davvero capire, si percepisce sempre quando è l’ora.
Cosa pensa di una legge come quella italiana sul testamento biologico che, secondo i suoi fautori, serve a tutelare i malati e le loro volontà?
Sono spaventato. Una legge del genere può aprire le porte all’eutanasia. Se ora ci sono casi isolati di pazienti o famiglie che non accettano la malattia, una norma peggiorerebbe la situazione. Si introduce l’idea per cui della vita e della morte possiamo disporre noi: così si arriverà a “staccare spine” come si bevono i bicchieri d’acqua. Nel mio paese, ad esempio, da una legge sul biotestamento si è arrivati, con gli anni, alla legalizzazione dell’eutanasia. Prima per gli anziani e ora quella infantile. Ogni persona è unica, e non si può inquadrare in alcuna norma. La gente vuole una legge per scaricare la responsabilità: i medici quella di decidere, i parenti quella di portare il malato.
Ma non è normale spaventarsi davanti al dolore e al sacrificio?
Sì, anch’io ero spaventato. Ma incontrando chi non ne aveva paura, ho capito che evitando il sacrificio si perde il meglio. Non c’è gioia senza dramma. In mia figlia dolore e gioia convivevano inscindibilmente. Bisogna far vedere che chi rinuncia al dolore rinuncia alla letizia vera, chi rinuncia alla lotta rinuncia alla pace. La bellezza si nasconde nel mistero della precarietà. Perché la rosa è affascinante? Perché è bellissima e nello stesso tempo è precaria, morirà eppure misteriosamente c’è. Così è la diversità: ti richiama a qualcosa che non possiedi, che sfugge, ma di cui hai bisogno. Noi invece vorremmo tutto piatto. Si immagina se fossimo tutti uguali? Sarebbe l’inferno. Le cronache estive hanno lasciato interdetti i militanti dell’autodeterminazione: in Gran Bretagna un uomo si è salvato da una “dolce morte” grazie a un movimento degli occhi un istante prima che gli fosse staccata la spina per rispettare le volontà da lui espresse in passato. Gli avvocati che difendono e sponsorizzano l’eutanasia davanti a questi fatti non hanno argomenti. Rudd ci testimonia che la vita e la morte sono più vicine di quanto crediamo. Separarle è un danno. I bimbi con la spina bifida spesso sanno apprezzare più di me l’esistenza. Per questo, dopo la morte di mia figlia, ho preso in affido altri dieci bambini malati. Ho bisogno di imparare da loro.
Come si resiste alla pioggia di messaggi che diffondono il terrore della malattia?
Vedere la bellezza nella contraddizione richiede occhi allenati. Davanti alla carrozzina, istintivamente, provi pietà. Ma se stai lì e guardi bene, puoi trovare al suo fianco una madre che la spinge con amore. Se ti fermi alla superficie, ti perdi la possibilità infinita di bene racchiusa in ogni essere umano: la bellezza che porta e che serve a redimere. Se le persone se ne rendessero conto non avrebbero paura di attraversare la malattia e vene rare la diversità. Certo, in questo mondo che rema contro, se sei solo soccombi. Per evitarlo, con la mia associazione facciamo informazione e teniamo compagnia alle famiglie. Io non sono religioso, ma ripeto: chi mi aiuta di più è chi ha la fede. Come mia moglie, che – non posso nascondermelo – è cattolica. Occorre incontrare persone che non hanno paura e ammettono che c’è un mistero. Lo dico da laico: ringrazio di essere circondato da gente così e di avere un’alternativa. Che potevo rifiutare, ma che ringrazio di avere accolto.
Benedetta Frigerio