Appello ai parlamentari cattolici, I finti poveri dell’impresa Radicale

di Riccardo Cascioli
27-07-2011

Proprio ieri si rifletteva su queste colonne a proposito dei fermenti nel mondo cattolico e dei pensieri su una eventuale aggregazione politica. E allo stesso tempo si registrava una certa qual confusione tra i politici cattolici – ma anche tra i vescovi – sui criteri di una tale eventuale aggregazione. Si chiariva allora che nulla c’è da inventare perché il Magistero ha già indicato molto chiaramente i princìpi non negoziabili – vita, famiglia, libertà di educazione – quale fondamento di ogni serio impegno politico per l’edificazione del bene comune.

Senonché scopriamo che una certa qual unità dei parlamentari cattolici è già una realtà nei fatti, ma non intorno ai princìpi auspicati dal Magistero bensì a sostegno di Radio Radicale, o meglio a sostegno della richiesta di finanziare Radio Radicale con i soldi delle nostre tasse. Lo avevamo già notato qualche giorno fa: nella Finanziaria appena approvata non è previsto il rinnovo della convenzione che permette a Radio Radicale di ricevere un assegno annuale di 10,2 milioni di euro. I radicali hanno perciò dato immediatamente il via alla solita manfrina, in cui recitano la parte delle povere vittime del sistema partitocratico, e ricattano le altre forze politiche che, puntualmente, scendono a patti e si sperticano di lodi per il fondamentale contributo dei radicali alla democrazia. E stavolta non è diverso: fino a ieri sera erano addirittura 352 i parlamentari che avevano firmato la petizione che chiede al governo di rinnovare questo finanziamento a Radio Radicale, per via dell’insostituibile servizio pubblico che rende. Servizio pubblico? Il nostro Danilo Quinto ha già svelato l’inganno che c’è sotto, e molti ricorderanno che quella della trasmissione delle sedute parlamentari – per cui esisterebbe già il canale Rai GR Parlamento – fu la scappatoia trovata per garantire a Radio Radicale di campare alle spalle dei contribuenti.

Una furbata, niente più, un modo surrettizio di finanziare le loro battaglie, condotte spesso violando apertamente la legge. E di furbate di questo genere è piena la storia del Partito Radicale che – come dimostra l’articolo odierno di Danilo Quinto – ha costituito negli anni una sorta di holding capace di attirare fondi privati e pubblici. Fanno gli anti-sistema ma sanno bene come mungerlo a loro favore. Combattono la partitocrazia ma in realtà si comportano come il peggiore dei partiti, che da qualche decennio decide l’agenda politica pur non riscuotendo consensi dall’elettorato. Si scagliano contro la casta, ma rappresentano una casta nella casta, capace di prosperare ricattando tutti gli altri.

Ma torniamo a Radio Radicale. Questa è certamente libera di decidere la propria linea editoriale e di combattere le battaglie che vuole: se i cittadini vogliono sostenerla, se dei privati vogliono finanziarla, affari loro. Ma perché dovrebbe godere di cospicui finanziamenti statali, pur nascosti da questa messinscena del servizio pubblico? Ma soprattutto: perché a questo giochino si accodano anche eminenti parlamentari cattolici, che militano nei diversi schieramenti? Eh già, perché tra i 352 firmatari troviamo cattolici di primo piano: Luigi Bobba (Pd), Pierluigi Castagnetti (Pd), Renato Farina (Pdl), Giuseppe Fioroni (Pd), Savino Pezzotta (Udc), Massimo Polledri (Lega Nord), Raffaello Vignali (Pdl), Maria Pia Garavaglia (Pd), tanto per citare i più noti. E non dimentichiamo il sottosegretario Eugenia Roccella, che fu portavoce del Family Day insieme al già citato Pezzotta.

A tutti costoro noi vorremmo chiedere: perché?

Perché sostenere apertamente – oltretutto con soldi pubblici – una forza politica che si è battuta e si batte per presunti diritti civili che cancellano la dignità dell’uomo?

Come si può sostenere una battaglia in Parlamento contro l’eutanasia e al contempo chiedere che siano dati fondi a chi li usa proprio per promuovere l’eutanasia (e anche violando la legge)?

Come si può essere credibili nel sostenere le ragioni della famiglia e poi sostenere chi del desiderio di distruggere la famiglia fa una bandiera?

Come si possono chiedere voti agli italiani per governare e poi essere costantemente succubi – culturalmente e politicamente – di un movimento che se non fosse per un partito compiacente oggi non avrebbe neanche un rappresentante in Parlamento?

Vorremmo che rispondeste a questa domanda, che è di tanti italiani – cattolici e non – che di questo teatrino della politica ne hanno le tasche piene. E soprattutto non vogliono che l’aumento delle tasse – già difficile da sopportare – vada anche per finanziare Radio Radicale.

http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-appello-ai-parlamentari-cattolici-2580.htm

I finti poveri dell’impresa Radicale

di Danilo Quinto

27-07-2011

Le vite cambiano. Nel 1999, Paolo Vigevano – storico editore di Radio Radicale e, insieme a Sergio Stanzani, costruttore principe dell’«impresa radicale» per conto di Pannella – vince più di un terno al lotto. Gli viene presentato un mecenate, il cui intervento, in termini di apporti economici, può evitare di rendere fallimentare la situazione debitoria in cui versano i radicali: sono circa 30 i miliardi di vecchie lire da pagare ai fornitori delle iniziative dell’ultimo anno volute da Pannella.

Il mecenate si chiama Marco Podini, membro della famiglia proprietaria della catena di supermercati «A&O», il quale prima acquista per 15 miliardi il provider «Agorà Telematica», di proprietà di una delle società dei radicali, e poi diviene socio di minoranza della centro di produzione SPA, comprando, al prezzo di 25 miliardi, il 25% delle azioni di Radio radicale, il cui valore totale quindi è stimato in almeno cento miliardi.

Vigevano, detentore della restante parte delle azioni, trova il coraggio – chi lo conosce bene sa che non è mai stato un cuor di leone – di farsi prezzare le sue azioni e intasca una formidabile liquidazione. Pannella è stato molto generoso con me, dirà, riconoscente.

La nuova vita, porta l’editore di Radio Radicale – ormai ex, ma quanti ex rimangono in ottimi rapporti con gli amici di un tempo – ad essere prima capo della segreteria tecnica del Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie, Lucio Stanca, colui che avrebbe dovuto rivoluzionare l’Italia con la banda larga, per poi divenire presidente di “Innovazione Italia SpA”, società creata per l’attuazione appunto del piano per la banda larga nel Mezzogiorno, vice Presidente del Comitato ICCP (Information Communications Computer Policies) all’OCSE, consigliere di amministrazione di Sogei S.p.a. e componente del Consiglio Superiore delle Comunicazioni, membro del cda di Finmeccanica, direttore delle relazioni istituzionali del gruppo ALMAVIVA (Cos-Finsiel); amministratore delegato di “Acquirente Unico”.

Solo due anni prima del ’99, Vigevano eseguiva – naturalmente, convintissimo – per conto di Pannella, una delle più demagogiche e strumentali operazioni messe in campo dai radicali: la distribuzione, nelle piazze di San Giovanni e del Campidoglio a Roma, a migliaia di persone, che si mettevano in fila sin dall’alba, per ricevere ciascuna una banconota di 50mila lire timbrata proveniente dalla quota del finanziamento pubblico spettante ai radicali.

Per l’«impresa radicale» – ha ragione da vendere Pannella a definirla tale, una vera e propria «impresa politico-imprenditoriale» – quella distribuzione di denaro pubblico aveva il connotato della propaganda. Equivaleva ad un investimento pubblicitario, nel tentativo di far credere all’opinione pubblica che c’era chi, tra i partiti, nulla aveva a che spartire con i cosiddetti «costi della politica», con i finanziamenti di carattere pubblico che il “sistema” metteva a disposizione di tutti.

D’altra parte, i radicali non hanno mai rinunciato alla loro quota di finanziamento pubblico, sin dalla legge che ha istituito in Italia questa possibilità. Per lunghi anni, quei soldi pubblici sono stati utilizzati per pagare le spese di Radio Radicale – «li restituiamo ai cittadini, attraverso il servizio pubblico di Radio Radicale», dicevano i radicali, convincendo anche i Governi che si trattasse di «impresa di interesse generale» – poi, anche dopo il referendum promosso nel 1993 contro la legge che istituiva il finanziamento pubblico a favore dei partiti, sono stati utilizzati o per le campagne politiche (le cui spese, in preventivo, venivano persino pensate in ragione dei risultati che si sarebbero ottenuti e con il conseguente denaro che si sarebbe incassato) o per coprire i costi degli apparati e delle strutture. «Se rinunciassimo a quello che la legge prevede ci spetti, la nostra quota se la dividerebbero gli altri», sostenevano con lungimiranza.

Il Centro di Produzione SPA – proprietario di un immobile di 644 mq. vicino alla Stazione Termini, che gode della convenzione con lo Stato e le provvidenze derivanti dalla legge sull’editoria a favore di Radio Radicale, organo della “Lista Marco Pannella”, alle quali non si è mai pensato di rinunciare – è solo un’articolazione dell’impresa che fa capo ai radicali.

C’è poi la società Torre Argentina Servizi, fondata nel 1987, proprietaria dell’immobile di 685 mq, che si sviluppa su due piani di Via Torre Argentina 76, a Roma, dove hanno sede i soggetti politici dell’area radicale.

All’interno di questa società, esiste una divisione, chiamata Centro d’Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva: tra i suoi committenti, ha annoverato, negli anni, la Camera dei Deputati, il Garante per la radiodiffusione e l’editoria, poi sostituito dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom), la Radio Televisione Italiana, oltre a Mediaset, la Fieg, la Scuola Superiore di Studi Avanzati di Trieste; i Gruppi Parlamentari dei Verdi; il Partito dei Democratici di Sinistra (2005), il Gruppo Regionale Margherita – Piemonte; il “Robert Schuman Centre – European Univeristy Institute”, testate giornalistiche (Epoca, Panorama, L’Espresso, L’Europeo, la Repubblica), il Censis, le università (Torino, Perugia, Roma).

Tra i soggetti politici della galassia radicale – così la definisce Pannella – spiccano Non c’è pace senza giustizia, che si occupa del tribunale penale internazionale e delle mutilazioni genitali femminili e Nessuno tocchi Caino, che si occupa di pena di morte.

«Le attività dei programmi di Non c’é pace senza giustizia – si legge nel sito internet – vengono attuate attraverso progetti multi-regionali sostenuti da diversi donatori, coinvolgendo altre ONG, attori della società civile, decisori politici e istituzioni di alto livello, parlamentari, esponenti di governo e istituzioni intergovernative».

Tra i partner e i donatori: The Commonwealth Secretariat, The Forum for the Future, The Special Court for Sierra Leone, The United Nations Democracy Fund (UNDEF), The United Nations Children’s Fund (UNICEF), the United Nations Development Program (UNDP), The United Nations Office for Project Services (UNOPS), The United Nations Population Fund (UNFPA), The World Bank; European Union; the Governments of : Belgium, Burkina Faso, Cambodia, Canada, Czech Republic, Djibouti, East Timor, France, Finland, Germany, Ghana, Greece, Ireland, Italy (MOFA), Kenya, Lesotho, Mali, Mexico, Morocco, Netherlands, New Zealand, Senegal, Sierra Leone, Spain, Sweden, Switzerland, Trinidad and Tobago, Turkey, Uganda, United Kingdom (British Foreign and Commonwealth office), USA (USAID and MEPI), Yemen; the Iraqi Council of Representatives, the Kurdistan National Assembly–Iraq and the Kurdistan Regional Government; the Afghan Independent Human Rights Commission (AIHRC), the Egyptian National Council for Childhood and Motherhood (NCCM), the Kenya National Commission on Human Rights (KNCHR).

Dal canto suo, Nessuno tocchi Caino, nel corso degli anni, ha ricevuto il sostegno non solo morale, ma anche economico per la sua attività, di 15 Regioni italiane, 40 Province e 120 Comuni, oltre ad accedere – com’è accaduto per l’altra associazione – ai finanziamenti derivanti dalle risorse provenienti dall’Unione europea per progetti legati alle attività da svolgere.
Siamo di fronte, insomma, ad una holding molto articolata e ben costruita, che non si è mai privata ed ha perseguito un rapporto molto stretto e sinergico con il “pubblico”, con il potere, perché da questo trae le risorse economiche che gli consentono di vivere.

E’ proprio il rapporto con il pubblico che consente ai radicali di essere così ben voluti, stimati e apprezzati da chi conta e da chi ha potere. Questi ultimi, s’inchinano di fronte ai moralizzatori della vita pubblica italiana (e, naturalmente, europea e mondiale) e consentono che il potere radicale si accresca e diventi sempre più seduttivo, manipolativo e pericoloso, perché non si alimenta della verità, ma dell’ipocrisia e dell’ambiguità.

http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-i-finti-poveri-dellimpresa-radicale–2557.htm

Info su Giorgio

Sono un Infermiere, scrivo libri e da molti anni sono attivo nel volontariato pro life per quanto riguarda la difesa della vita dal concepimento al termine naturale. Sono presidente dell'associazione "Ora et Labora in difesa della vita"
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