Sappiamo bene quali sono stati gli effetti disastrosi della legge 40 sulla fecondazione artificiale: decine di migliaia di embrioni creati ogni anno e morti in poche ore o in pochi giorni, così come previsto, altre migliaia congelati (così come avveniva prima della legge), diagnosi preimpianto – con eliminazione degli embrioni difettosi – regolarmente praticata, “sdoganamento” delle pratiche di fecondazione in vitro sia dal punto di vista sociale che da quello morale …
A difesa di questa legge – scritta ed approvata dal mondo cattolico – il popolo delle parrocchie e dei movimenti è stato mobilitato nella battaglia referendaria dopo essere stato convinto che si trattava di una battaglia a difesa della vita e della civiltà.
Ma gli anni passano e le verità emergono. Fra le tante vi è quella del divieto di “mamme-nonne”. Ricordate? Una delle parole d’ordine era quella di impedire gli eccessi della fecondazione in vitro, demonizzando gli “aspiranti stregoni”, come Severino Antinori…
Scopriamo in Avvenire del 19/9/2011 che la Regione Veneto, alcuni mesi fa, ha stabilito il limite massimo di età della donna di 50 anni per accedere alla procreazione assistita, stabilendo, altresì, il numero massimo di tre o quattro tentativi: il tutto a carico del Servizio Sanitario Nazionale!
Provvedimento illegittimo? Enrico Negrotti, nell’articolo, spiega a chiare lettere: “L’origine delle incertezze è in parte nella stessa legge 40 che concede l’accesso alle tecniche alle coppie in età potenzialmente fertile: una definizione che per le donne significa presenza del ciclo mestruale, mentre per i ginecologi la fecondità è ormai ridotta al lumicino già alcuni anni prima dell’effettiva menopausa”. Aggiungiamo noi: oltre a dettare questo criterio così vago, la legge si è ben guardata dal prevedere qualsiasi sanzione per chi lo viola; cosicché i tentativi delle coppie anziane sono sostanzialmente liberi.
E infatti l’unico problema – andiamo al cuore della fecondazione in vitro … – sembra essere quello dei soldi: chi paga?
Sì, perché “il costo per ogni bimbo nato da un donna di 45 anni risulta oscillare tra i 600mila e i 700mila euro”. Vedete? Dei costi veri -la produzione e la morte di decine o centinaia di embrioni per ogni bimbo “in braccio”, la devastazione psicologica e morale delle coppie che falliscono nei ripetuti tentativi, il rapporto falsato tra genitori e figlio, i problemi psicologici del bambino – ci si può dimenticare: la legge li permette …
E così il “tavolo tecnico” ha elaborato una bella proposta di compromesso (non vincolante per le Regioni): limite massimo di età per la donna: 43 anni!
Un’età in cui (lo dice la Relazione al Parlamento del Ministro della Salute) le percentuali di instaurazione di una gravidanza dopo il prelievo ovocitario crollano (poco più di sette gravidanze ogni cento prelievi, contro la media di 24 gravidanze ogni 100 prelievi) e, per di più, aumenta enormemente la percentuale delle gravidanze interrotte per vari motivi (65 gravidanze su 100, contro la media di 24,6 su 100).
Si tratta di decine, di centinaia di embrioni o bambini morti per ogni “bambino in braccio” di una mamma di età avanzata.
Questa è una “legge imperfetta”; per questa ci hanno fatto combattere perché non fosse abrogata.
Sappiamo che qualcuno sta già preparando un referendum abrogativo contro la legge sulle DAT che la Camera dei Deputati potrebbe approvare nei prossimi mesi.
Una richiesta a coloro che sono pronti ad una nuova mobilitazione: prima di sventolare la bandiera della difesa della vita, spiegate cosa quella legge prescrive davvero!
Giacomo Rocchi