Come vedremo, non mancano anche su questa norma dubbi e perplessità.
L’articolo 3 comma 5 del progetto stabilisce: “Anche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13/2/2006, alimentazione e idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, devono essere mantenute fino al termine della vita, ad eccezione del caso in cui le medesime risultino non più efficaci nel fornire al paziente in fase terminale i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo”.
Si tratta della norma ispirata dal caso Englaro, diretta giustamente ad impedire che altri disabili vengano fatti morire di fame e di sete. La Camera ha migliorato la norma approvata dal Senato: ora l’unica eccezione riguarda i pazienti in fase terminale, cioè prossimi ad una morte imminente e inevitabile: solo in questa condizione, infatti, talvolta il corpo morente rifiuta alimenti e liquidi che, quindi, il medico deve poter sospendere per permettere una morte dignitosa.
Reggerà questa norma di fronte ai Giudici e alla Corte Costituzionale? Abbiamo visto che sarà facile promuovere cause contro i medici e in queste cause potranno essere sollevate questioni di costituzionalità.
Vi sono tre motivi per temere che questa norma di civiltà cada o venga “ammorbidita” fino a renderla priva di effettivo contenuto.
In primo luogo la natura di trattamento terapeutico dell’alimentazione e idratazione artificiale (come tale rifiutabile dall’interessato o dai suoi rappresentanti legali) è oggettivamente discussa; a livello giuridico la Cassazione nel caso Englaro l’ha già qualificata trattamento sanitario. Se pensiamo che vengono definiti “terapeutici” l’aborto volontario o la fecondazione in vitro, possiamo comprendere che la riflessione sulla sostanza dell’atto (“è nutrimento, non è terapia”) fatichi a farsi strada.
In secondo luogo il divieto di sospendere alimentazione e idratazione artificiali è un’eccezione in un quadro di assoluta disponibilità (per l’interessato o per i suoi legali rappresentanti) di tutti i trattamenti sanitari. E allora: se è possibile decidere su tutto, perché non poter decidere anche su questo aspetto?
Se si possono rifiutare terapie salvavita, perché non si può rifiutare “alimentazione salvavita”?
Infine, e soprattutto: la norma è debole perché non menziona l’obbligo di mantenere anche la ventilazione artificiale.
Qui si può toccare con mano il compromesso su valori non negoziabili: che si tratti di sostegno vitale, anche se fornito con mezzi e strumenti di carattere sanitario, si può sostenere con gli stessi argomenti riguardanti alimentazione e idratazione; ciascuno di noi, per vivere, deve essere nutrito, bere e respirare. Non basta: l’argomento è stato proposto e discusso anche alla Camera dei Deputati, ma senza alcun esito. Si è così stabilito il principio che la ventilazione artificiale, in quanto trattamento sanitario, può essere rifiutato e sospeso, con la morte del soggetto.
Questa diverso trattamento tra le differenti forme di sostegno vitale fa apparire la norma sull’alimentazione e idratazione artificiale un’eccezione illogica, irragionevole e quindi illegittima.
La giurisprudenza civile e costituzionale sulla legge 40 sulla fecondazione artificiale ha purtroppo dimostrato che le regole e i divieti fondati sul compromesso non resistono agli attacchi e vengono sgretolati.
Giacomo Rocchi