La Camera dei Deputati ha scelto con decisione la strada della non vincolatività delle Dichiarazioni Anticipate di trattamento. La parola chiave per definire il contenuto delle DAT è “orientamenti”: non più “volontà espresse” o “indicazioni” del dichiarante, ma, appunto, “orientamenti”.
Di conseguenza il fiduciario nominato nelle DAT non può più instaurare una controversia contro il medico curante per far rispettare le disposizioni anticipate (abrogazione dell’articolo 7 c. 3). Il fiduciario continua, quindi, a “controllare” l’operato dei medici: ma – qui è la modifica sostanziale apportata dalla Camera – il medico curante, se non vuole seguire gli orientamenti espressi nelle DAT, deve solo “sentirlo”ed è tenuto ad “esprimere la sua decisione motivandola in modo approfondito e sottoscrivendola sulla cartella clinica”. Quindi – almeno sembra – è il medico che decide.
La Camera, inoltre, ha limitato l’ambito di applicazione delle DAT: ora “la dichiarazione anticipata di trattamento assume rilievo nel momento in cui il soggetto si trovi nell’incapacità permanente di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze per accertata assenza di attività cerebrale integrativa sotto-corticale e, pertanto, non può assumere decisioni che lo riguardano”. Questa condizione è accertata da un collegio medico appositamente formato.
Per chi teme la legalizzazione dell’eutanasia, in realtà, questa restrizione non tranquillizza: il paziente potrebbe essere stato interdetto assai prima e quindi, se le DAT non trovano applicazione, saranno le decisioni del tutore ad esserlo: e si sono visti nei precedenti post i rischi connessi.
Ma è vero che le DAT contengono solo “orientamenti” che il medico può seguire o meno?
Se fosse così, perché allora mantenere tutta la complessa regolamentazione? Perché spendere soldi per istituire il Registro Nazionale delle dichiarazioni anticipate di trattamento?
E perché negare ogni efficacia a dichiarazioni rese in forma diversa (art. 4 c. 2: “Eventuali dichiarazioni di intenti o orientamenti espressi dal soggetto al di fuori delle forme e dei modi previsti dalla presente legge non hanno valore e non possono essere utilizzati ai fini della ricostruzione della volontà del soggetto”)? Pensiamo quanto è difficile manifestare con precisione e con completezza il nostro pensiero con un atto scritto e a persone a noi estranee; se davvero dovessimo manifestare i nostri “orientamenti” e i nostri desideri su come essere curati in un futuro incerto e lontano, non lo faremmo molto meglio “a voce”, parlando con i nostri parenti più stretti, o con il coniuge o con l’amico più caro? Ma la legge ci imporrà di firmare un atto scritto e di farlo “esclusivamente” presso il medico di medicina generale che contestualmente le sottoscriverà. Per di più quell’atto scritto avrà valore solo per cinque anni e, quindi, dovrà essere rinnovato ogni quinquennio.
Vedremo nel prossimo post che questi dubbi hanno una risposta: in realtà – nella loro funzione essenziale di permettere l’eutanasia passiva del paziente incosciente – le DAT rischiano di essere ritenute vincolanti.
Giacomo Rocchi