L’aborto resta illegale in Liechtenstein. È questo il risultato del referendum popolare tenutosi nel piccolo principato incastonato tra Svizzera e Austria. Il 52,3% dei votanti si è infatti opposto alla legalizzazione dell’aborto nelle prime dodici settimane di gestazione o nel caso di malformazioni del nascituro.
Attualmente in Liechtenstein l’interruzione di gravidanza è un reato, con pene fino ad un anno di carcere per la donna e tre per i medici. Solo nel caso di pericolo per la vita della madre o se la gestante ha meno di 14 anni l’aborto è consentito. La legislazione del principato prevede anche che ad essere incriminate siano le donne che scelgono di recarsi nelle confinanti Svizzera e Austria per abortire. Coloro che spingevano per ammorbidire la norma usavano proprio l’argomento del “turismo abortivo” per giustificare la loro richiesta, giudicando inammissibile che una donna fosse costretta all’espatrio per interrompere una gravidanza.
Ad agosto era stato il principe del Liechtenstein, Alois, ad esprimere la propria contrarietà alla legalizzazione dell’aborto, dichiarando che non avrebbe ratificato la legge qualora fosse stata approvata. In particolare il principe aveva manifestato il disappunto per un testo che avrebbe permesso l’eliminazione di bimbi handicappati. La portavoce dello stesso principe, Silvia Hassler-De Vos, aveva dichiarato all’Associated Press, l’8 settembre scorso, che era ferma intenzione di Alois riaffermare che «l’aborto non può essere la soluzione per una gravidanza indesiderata» (“Avvenire”, 20 settembre 2011).
Il Liechtenstein resta, con Malta, Irlanda e Polonia, uno degli Stati europei dove l’aborto continua ad essere consentito in casi molto rari. Il principe presto sarà chiamato ad esprimersi su una proposta di legge alternativa, che prevede la depenalizzazione degli aborti compiuti all’estero.