di Renzo Puccetti
07-11-2011
Nelle scorse settimane i ginecologi abortisti, termine qui usato per indicare gli operatori dell’aborto, si sono riuniti a convegno. L’oggetto, pare, delle loro accorate lamentele, il responsabile principale di ogni frustrazione, l’essere che proditoriamente lavorando nell’ombra tenta di privare la società di un diritto fondamentale quale sarebbe quello di abortire, é stato infine individuato in modo implacabile: si tratta dell’obiettore di coscienza.
A lui solo, reo di tali delitti, dovrebbe essere inibita l’assunzione negli ospedali. Qualcuno si domanda il motivo? Ma è ovvio: è notorio infatti che compito precipuo dell’ostetricia è la soppressione del bambino nel grembo delle madri. Gli abortisti sono persone per bene, sinceramente democratiche, generalmente in prima fila nella difesa del pluralismo dei valori; pluralismo che tutti hanno il sacrosanto diritto di potere esprimere; tutti, s’intende, tranne quell’impresentabile abusivo del camice bianco che va sotto il nome di medico obiettore.
Sembra peraltro che il trend sia molto preoccupante: anziché rimpicciolire progressivamente ed infine estinguersi, la razza dei ginecologi che non capiscono, che non si adeguano al progresso, ma obiettano e rifiutano di aspirare i concepiti per gettarli tra i rifiuti speciali come mero materiale biologico, è in aumento.
Un comportamento intollerabile da parte di medici che costringono i poveri colleghi abortisti a sopportare “un carico psicologico maggiore”. Deve essere davvero una gran canaglia il ginecologo obiettore per fare inviperire cosí gli operatori dell’aborto. Pare peraltro che la schiera dei perfidi obiettori sia ingrossata da un buon numero di abortisti: ci sono quelli della palude, quelli che non si sono mai apertamente schierati a difesa integrale dei diritti riproduttivi; ci sono i cripto-abortisti, quelli che gli aborti li farebbero se solo qualcuno spiegasse loro quanta penuria ci sia di operatori; vi sono poi gli abortisti in sonno, che sono quelli che gli aborti li facevano, ma poi hanno sospeso l’attività per dedicarsi temporaneamente ad altre attività; ed infine ci sono gli abortisti disertori, quelli che dopo cento, mille, diecimila aborti, erano esauriti e sentendo di non farcela più, hanno abbandonato la trincea.
Tutti questi però sono niente a confronto del più malefico di tutti gli obiettori: quello che a salvare la vita del concepito ci crede davvero. Si tratta di un sovversivo, uno che attenta alla legge osando rivendicare – pensate – quanto è scritto nella legge, che si annida nei consultori, sforzandosi magari d’individuare un aiuto concreto per evitare l’aborto. Il pericoloso ginecologo obiettore si aggira per gli ospedali dove in qualche caso – orrore – ha persino aperto le porte dei reparti a quegli altri loschissimi figuri che si fanno chiamare volontari pro-life, gente disprezzabile che, pensate un po’, si leva i soldi di tasca ed apre anche le proprie case alle donne pur di aiutarle a non abortire, gentaglia davvero incomprensibile che venera una tal suora di Calcutta che ce l’aveva a morte con l’aborto,
una cosa che per gli abortisti è invece una “pratica umanissima”. È sempre l’impunità di cui gode il medico obiettore ad avere dato il cattivo esempio e costringere il Paese ad avere ora a che fare anche coi farmacisti obiettori, altri folli che pretendono di avere una coscienza loro propria, di seguirne i dettami e di non dare alle donne tutte quelle belle pilloline che servono ad impedire all’embrione di sopravvivere.
Ma come si fa a non capire che fare gli aborti è una buona azione; pensate al risparmio che deriva dall’eliminazione di tutti quegli esseri un po’ bruttini a vedersi, spesso ritardati, che se lasciati nascere, sono abbisognevoli di cure costose ed assistenza protratta. L’aborto fa bene alla psiche delle donne. Qualcuno potrebbe obiettare che il British Journal of Psychiatry ha appena pubblicato una mega-revisione dei casi che mostra invece il peggioramento della salute psichica delle donne dopo l’aborto; e che il professor Fergusson, ateo e pro-proice, ha confermato questi dati seguendo dalla nascita un gruppo di donne e analizzando ogni fattore. Ma queste anime belle farebbero bene a tacere; insomma, in fin dei conti il ginecologo abortista lavora tanto ed ha giustamente bisogno di ferie più lunghe.
No, la situazione è intollerabile, qui servono misure draconiane che ci riallineino agli standard europei di Francia e Inghilterra, dove il numero di aborti è quasi doppio rispetto all’ancora cattolica Italietta. Impedire l’assunzione del ginecologo obiettore potrebbe essere misura insufficiente; chissà per quanti anni ancora gli obiettori continuerebbero ad aggirarsi per le corsie e gli ambulatori: si potrebbe suggerire di accelerare il cambiamento mediante programmi di rieducazione intensiva alla comprensione della bellezza e bontà dell’aborto, magari in collaborazione col governo cinese, che di queste cose ha vasta esperienza e, per i renitenti, misure di progressiva penalizzazione, purché senza ulteriore affollamento delle carceri. A questo proposito si potrebbe attivare un programmino di scambio carcerario tra obiettori e quelli condannati per aborto clandestino, in fin dei conti dei semplici professionisti freelance: dentro i primi, fuori i secondi.