Con la morte di Padre Angelo Serra, avvenuta a Roma nella notte del 20 gennaio, la comunità scientifica perde uno dei più importanti genetisti, e il mondo cattolico perde uno dei più seri e rigorosi bioeticisti italiani. Serra rappresenta un raro esempio di studioso nel quale si univano una grande preparazione scientifica, una modestia sincera e sorprendente, e un rigore dottrinale e morale assoluto.
Ho conosciuto Padre Serra nel 1995, da studente, quando frequentavo il corso di specializzazione in Bioetica presso l’Istituto Scientifico del San Raffaele di Milano. Si trattava di un corso organizzato con serietà, guidato da docenti intelligenti e preparati, ma all’interno di una visione morale piuttosto elastica, disposta a sconfinare dai contorni netti della dottrina cattolica sulla vita e sulla medicina. Fra i docenti si susseguivano monsignor Sgreccia e, appunto, Padre Serra; ma anche Edoardo Boncinelli (“per me – ci diceva – la ricerca scientifica è una cosa, la riflessione morale un’altra”) e Fernanda Pivano, che fu invitata a tenere una lezione sull’eutanasia parlando del suicidio dell’amico Hernest Haminguay. Il tema dell’aborto fu affidato, tanto per dare un’idea, al professor Giovanni Berlinguer, relatore della legge 194 al parlamento italiano.
In quella giornata al San Raffaele, a Serra non ci volle molto per accorgersi che, a dispetto della cornice in cui avveniva la sua lezione, non stava “giocando in casa”: che l’embrione fosse un essere umano fin dal concepimento, che la fecondazione artificiale fosse incompatibile con il rispetto di quell’uomo, che il Rapporto Warnock dicesse delle corbellerie, era tanto chiaro per Serra quanto discutibile per alcuni dei suoi allievi. Sulle prime ebbi l’impressione che quel gesuita, piccolo di statura, dal tratto delicato e gentile, incapace di alzare la voce, con lo sguardo che ti voleva bene a ogni costo; ebbi l’impressione, insomma, che quel buon prete sarebbe stato del tutto inadeguato a far fronte alle obiezioni, talvolta sarcastiche di una platea così provocatoria. Una specie di don Abbondio in mezzo ai “vasi di ferro” della bioetica cattolica-possibilista.
Si trattava, in fondo, di una platea che aveva fatto già perdere la pazienza a Sgreccia, che alla fine della sua burrascosa lezione mi aveva confidato “Io qui non ci vengo più, mi attaccano sempre”. Ma la mia valutazione di Padre Serra si rivelò presto del tutto sbagliata: Padre Angelo, con quell’aria serafica e impassibile, difese le posizioni senza mollare di un millimetro, impugnando di volta in volta le armi della biologia, della genetica, della filosofia, della logica elementare.
Non ci fu niente da fare: più lo provocavano, e più ne veniva fuori con calma e con forza. Ne rimasi molto colpito, anche perché Serra non godeva, né godette negli anni successivi, di quella fama che avrebbe meritato, anche nel mondo cattolico. Era schivo, e non cercava i riflettori; e con quelle idee ortodosse che si ritrovava, tanto meno venivano a cercarlo i responsabili di giornali e Tv, anche cattolici.
Rividi Padre Angelo molti anni dopo, per una circostanza della vita assai strana: insieme ad altri amici, avevamo fondato un’associazione pro life – il Comitato Verità e Vita – spinti dalla necessità di dire pubblicamente che la fecondazione artificiale, anche nella sua forma omologa, quella legalizzata dalla legge 40 del 2004, rimane una pratica inumana, immorale e contraria al diritto naturale. Una pratica che dovrebbe essere vietata dalle leggi di uno stato civile. Una pratica che dovrebbe essere sempre estranea a un medico e a un ospedale cattolico.
Non immaginavamo che questa iniziativa ci avrebbe tirato addosso così tanti guai proprio da parte del mondo cattolico; ma non immaginavamo nemmeno che questa scelta ci avrebbe fatto incontrare tante persone straordinarie, spesso sconsociute ma qualche volta autorevoli e prestigiose, contagiate esse stesse da una certa “emarginazione” culturale per via dell’amicizia con “quelli di Verità e Vita”. Padre Angelo fu uno di questi: quando si trattò di mettere in luce l’altissima abortività indotta dalla fecondazione artificiale, non ebbe esitazioni, e iniziò a tenere pubbliche conferenze, organizzate anche da noi, per spiegare a tutti come stessero le cose.
Ovviamente sarebbe riduttivo limitare a questo snodo bioetico la ricchezza di vita di Padre Serra. Genovese, 93 anni dei quali 78 trascorsi nella Compagnia di Gesù, padre Serra è stata una figura di primissimo piano nel campo della genetica, interpretata sempre nel rispetto della dignità di ogni essere umano. Era uno studioso apprezzato in tutto il mondo: nel 1964 ha insegnato alla Harvard Medical School di Boston. Tornato in Italia, per 30 anni ha risieduto nella comunità della Civiltà Cattolica ed è stato docente presso la facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Roma dove ha fondato e diretto l’istituto di genetica umana. Presidente della Confederazione italiana dei consultori di ispirazione cristiana, negli ultimi anni padre Serra è stato membro della Pontificia Accademia per la Vita e del Pontificio Consiglio per la Salute.
Penso che la sua morte sia una grave perdita per la comunità scientifica, per la Chiesa e per la famiglia della Compagnia di Gesù. Ma è una perdita molto grave anche per l’esiguo (e talvolta tiepido) fronte pro life italiano. Padre Angelo Serra è sempre stato un fiero avversario delle tecniche antiumane applicate alla genetica, e un trasparente nemico delle leggi ingiuste che permettono l’aborto, la fecondazione artificiale, la sperimentazione sugli embrioni umani. Una posizione difficile da sostenere verso il mondo laico dei colleghi; ma per paradosso, difficile da sostenere anche rispetto a certe derive della bioetica e della sanità “cattoliche”.
Per questo mi sembra giusto ricordare di lui questo profilo che lascia a tutti noi una sorta di “testamento bioetico”: Serra sostenne sempre la illiceità di ogni tecnica di fecondazione artificiale extracorporea, e la profonda ingiustizia di una legge come quella italiana, la 40 del 2004, che – fatte salve le buone intenzioni e il contesto in cui venne votata – permette di produrre l’uomo in provetta. Più di una volta, Padre Angelo mi ha confidato la sua sofferenza profonda per la confusione diffusa anche nel mondo cattolico sui temi della bioetica; non capiva i silenzi, i compromessi, le ambiguità, i veri e propri errori, i silenzi intorno alla fecondazione artificiale, e in particolare il clima di generalizzata “difesa” della fivet omologa a norma di legge 40.
Il suo sorriso è la grande lezione che ci rimane più impressa: imparare ogni giorno a difendere la verità, senza odiare nessuno.