di Sergio Silvestris*
Il diritto alla vita e la tutela del nascituro restano un tabù per l’Europa.
E se le istituzioni europee si preoccupano di enunciare ogni tipo di diritto, anche rasentando la stravaganza, e si impegnano a tutelare ogni minoranza etnica, religiosa, linguistica e sessuale, nessun riferimento può essere dedicato al sostegno alla gravidanza.
Se ne è avuta conferma nel corso dell’ultima sessione plenaria di Strasburgo, quando si è discusso il rapporto annuale sui diritti umani nel mondo presentato dall’inglese Richard Howitt. Il capitolo sui diritti della donna, ricco e articolato, ometteva di considerare le difficoltà di natura socio-economica che in molti casi sono alla base della scelta di interrompere una gravidanza.
Il dato più significativo è l’idea censoria e negazionista che l’Europa continua ad imporre. Il problema non è se riconoscere o meno il diritto alla maternità, se garantire o meno i diritti del nascituro, se sostenere il percorso della gravidanza come un momento comunque positivo della vita della donna. Per le istituzioni europee di questi argomenti semplicemente non si può e non si deve parlare. Salvo quando, in ogni rapporto sulla condizione femminile, non si richiami il diritto della donna di accedere liberamente e gratuitamente a ogni tipo di sistema contraccettivo o abortivo. Dunque, piena libertà di scelta per interrompere una gravidanza e nessun sostegno per portarla a termine.
Eppure in Europa ogni 26 secondi si verifica una interruzione di gravidanza, che fanno 3.309 aborti al giorno per un totale di 1.207.700 l’anno. E’ impensabile negare tale evidenza quando si è di fronte a un fenomeno di simili proporzioni che, in parte significativa, è dovuto a condizioni di disagio sociale, economico o personale che sarebbero superabili attraverso un serio supporto delle istituzioni mediato dalle reti di protezione sociale.
E’ per questo che ho proposto un emendamento in aula al rapporto Howitt, chiedendo che per la prima volta in un testo europeo rientrasse anche il riconoscimento del diritto alla maternità e l’attivazione di utili strumenti atti a superare, nel rispetto della libertà della donna, le ragioni che inducono all’aborto. La mia proposta non faceva altro che richiamare le misure di prevenzione che la legislazione italiana prevede con la 194/78 chiedendone l’estensione in sede europea.
Immediata e scontata è stata la reazione dei parlamentari socialisti e liberali che, sfruttando i regolamenti parlamentari, hanno impedito che l’emendamento fosse messo in votazione. Non un voto contrario, dunque, ma l’impedimento a che la materia possa essere giudicata e votata. Una palese manifestazione del tabù europeo verso gli embrioni.
E’ arrivato il momento di infrangere questo tabù, e tutto il Ppe deve impegnarsi perché nell’agenda europea figuri anche il riconoscimento del diritto alla vita fin dai primi giorni del concepimento. Affermato questo principio, occorrerà agire con proposte concrete per tutelare l’embrione e la donna. Non sono più rinviabili iniziative di sensibilizzazione tra i cittadini europei, come ad esempio attività educative sul rispetto della vita in ambito scolastico e sui mezzi d’informazione. Occorrono, inoltre, sistemi d’aiuto alla gravidanza per esaminare, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna, le possibili soluzioni ai problemi che si presentano, aiutando la donna a rimuovere le cause che la porterebbero all’aborto, mettendola nelle condizioni di far valere i propri diritti di lavoratrice e madre, offrendole ogni aiuto necessario durante la gravidanza e dopo il parto.
L’Europa ha adesso il dovere di affrontare la delicata materia e di fare chiarezza sui diritti del nascituro. Senza più complessi di inferiorità.
Eurodeputato Pdl