“Se farò un governo io, la sua prima norma riguarderà il diritto dei figli di immigrati nati qui e che studiano qui in Italia a chiamarsi finalmente italiani”.
Capito? La prima, mica la seconda o la terza cosa. Intervistato dal Corriere della Sera, il segretario del PD Pierluigi Bersani ribadisce una promessa già fatta in altre occasioni. Aggiungendo che le prossime elezioni “non saranno solo una scelta politica ed economica. In qualche misura saranno anche una scelta di civiltà”. Beh, questo l’avevamo capito guardandoci intorno ad osservare quello che succede e le proposte scellerate che la sinistra fa rimbalzare sui media nazionali. In effetti, tra Sel, IdV e PD si è scatenata una corsa furibonda al voto extracomunitario. Del resto, con un Paese spaccato a metà, il voto dei naturalizzati fa gola perché può fare la differenza. Tanto a loro non è che gliene freghi qualcosa dell’Italia e degli italiani: l’importante è arrivare al potere e tutto è lecito e tutto fa brodo per arrivare a Palazzo Chigi, pure l’islamizzazione della culla del cristianesimo e la mortificazione degli ideali e delle aspirazioni dei veri italiani. Bersani parla della sua “riforma”, cioè della nostra decristianizzazione, rispondendo ad una domanda su Beppe Grillo che aveva definito “senza senso” il dibattito sulla cittadinanza per le seconde generazioni, oltre ad avere atteggiamenti che Bersani definisce ambigui, su altri temi legati all’immigrazione.
Il segretario del PD accusa Grillo di “dar voce ad insorgenze populiste”, invece la sua cos’è? Gli stranieri nati in Italia, o anche arrivati nel nostro Paese, possono conseguire la cittadinanza in soli 10 anni secondo l’iter previsto dalla legge che prevede, tra i requisiti necessari, quello di risiedere in permanenza e continuità in Italia. Questa norma è essenziale per evitare che il soggiorno degli extracomunitari in Italia sia solo un pretesto per ottenere la cittadinanza, il relativo passaporto comunitario e tutte le provvidenze che derivano dalla nazionalità italiana, dal lavoro all’assistenza sanitaria gratuita. Si vuole evitare che i cittadini naturalizzati se ne vadano a lavorare col passaporto italiano in America o in Germania, salvo passare da noi quando gli fa comodo, a ritirare assegni di assistenza, a partecipare all’assegnazione di case popolari che poi si rivendono togliendole alle famiglie italiane, per sottoporsi a terapie o interventi chirurgici a nostre spese, godendo di priorità di trattamento dal risultare disoccupati in Italia. Senza dire dell’aspetto legato alla micro-criminalità ed alla criminalità organizzata, per cui ci dovremo tenere tutti i delinquenti naturalizzati, ladri, assassini, spacciatori e stupratori senza neanche più la possibilità di rispedirli da dove sono arrivati. Oltre a questa, il PD punta a compiere un’altra prodezza, cioè la cancellazione del reato di immigrazione clandestina con “una iniziativa volta a realizzare una presunta scelta di “civiltà e di democrazia”. Lo ha detto il responsabile Giustizia del Pd, Andrea Orlando, nel corso di una conferenza stampa alla Camera per presentare la “Festa nazionale della Giustizia”, in programma ad Abano Terme dal 20 al 30 luglio. “Il reato di clandestinità”, ha spiegato Orlando “è stato sostanzialmente svuotato dalle pronunce della Corte europea, ma esiste e continua a campeggiare come elemento di abominio nell’ordinamento italiano. E’ un residuo archeologico di una stagione, quella della maggioranza Pdl-Lega, che fortunatamente si è conclusa, tuttavia ha ancora un forte valore simbolico”. “L’abolizione e’ un fatto di civiltà”, ha rincarato la dose Marco Pacciotti, responsabile forum Immigrazione del Pd. “Bisogna pensare a chi sta in Italia anche da 10-15 anni, che in questa situazione di crisi perde il lavoro e dopo 6 mesi di fatto diventa clandestino”, ha ricordato. Chissà perché i Pdiini si agitano tanto per gli stranieri che stanno in “Italia da 10-15 anni”, e non riservano alcuna attenzione agli italiani che invece qui ci sono nati e ci vivono da sempre, e chissà in base a quale diritto naturale, o “scelta di civiltà”, si devono negare posti di lavoro agli italiani per darli agli stranieri che altrimenti diventano clandestini. E chi se ne frega, chi ce li ha chiamati qui? Noi no. Proviamo a mettere insieme questi fatti: più nessuno sarà un clandestino, nemmeno quelli appena sbarcati dal gommone: infatti se li respingi incorri nelle ire della Ue per cui li devi far sbarcare; se uno è libero di sbarcare non è un clandestino e non gli puoi negare il permesso di soggiorno, altrimenti sarebbe un arbitrio; ma se uno è in possesso del regolare permesso di soggiorno come gli si può negare uno straccio di occupazione? Gli danno il posto. Ma se lavora, la sera dovrà riposare, unirsi alla propria famiglia attorno al focolare domestico, per cui gli va data la casa. Ma quando ha la casa, il lavoro e un regolare permesso, gli puoi negare la cittadinanza? No. Ma se è cittadino italiano ha diritto a tutto, alla scuola per i figli, nel frattempo naturalizzati italiani, all’assistenza sanitaria, alla pensione, alla Cig, tutto. Però c’è un problema: dove vanno a pregare se sono musulmani? Bene, facciamo come in Olanda, dove le chiese cristiane sono in corso di sconsacrazione per poterle trasformare in moschee, come fecero gli Ottomani ad Istanbul con la basilica di Santa Sofia. Poi va considerato che attualmente gli stranieri in Italia si aggirano sui 6 milioni, per metà clandestini e per metà regolari o naturalizzati. Tranne quelli dell’est europeo, in larga minoranza, sono tutti di fede islamica. Tra 20 anni, con i decreti Bersani per l’immigrazione, l’accentuarsi del flusso di stranieri la fuga degli italiani verso altri lidi, la metà degli abitanti in questo Paese saranno musulmani, tra 25 saremo in minoranza. Ora gettate uno sguardo al trattamento cui sono sottoposte le minoranze nei paesi islamici, tipo i Curdi o gli abitanti di fede cristiana in Indonesia, Sudan e Nigeria dove ne ammazzano a centinaia ogni giorno e fatevi un’idea di quello che ci aspetta in questo Paese, non solo a noi, ma poi ai nostri figli ed ai nostri nipoti. Questa è la scelta di civiltà di Bersani, Di Pietro, Vendola e dei loro complici. Se vi sta bene, compratevi il kefiah bianco o rosso, a seconda se vi piace essere sunniti o sciiti, o il burqa se siete donne, e votateli.
Nel frattempo, le toghe rosse si sono già adeguate anticipando i tempi per quanto auspicato da Bersani. Infatti, secondo il tribunale di Milano già adesso, senza aspettare che Vendola o Bersani diventino premier, gli extracomunitari titolari di permessi da “lungo soggiornanti” vanno equiparati ai cittadini italiani o comunitari e che le restrizioni imposte dal Comune e dall’Inps in tema di sussidi sono discriminatorie. In altri termini, questi cittadini extracomunitari hanno diritto all’assegno INPS per nuclei familiari numerosi rilasciato dai Comuni alla pari dei cittadini italiani e comunitari cui sono equiparati. Lo ha ribadito il giudice del lavoro del Tribunale di Milano, accogliendo lo scorso 16 luglio i ricorsi anti-discriminazione presentati contro il Comune e contro l’Inps dalle associazioni Asgi e Avvocati per Niente Onlus e da due immigrati ai quali era stato negato il contributo. Il giudice ha affermato “la titolarità dei cittadini di Paesi terzi lungo soggiornanti in Italia del diritto a beneficiare dell’assegno INPS in virtù della clausola di parità di trattamento con i cittadini nazionali in materia di prestazioni sociali e di assistenza sociale contenuta nell’art. 11 c. 1 e 4 della direttiva europea n. 2003/109/Ce” commenta Walter Citti, consulente legale del servizio antidiscriminazioni dell’Asgi. E’ una bufala sesquipedale. Infatti, la direttiva prevede la possibilità di deroga al principio di parità di trattamento per le prestazioni sociali di natura non essenziale. Cioè, l’Europa ha emesso una direttiva che prevede la possibilità di essere applicata solo alle prestazioni sociali essenziali, invece sarà applicata sempre ed a tutti, pure a quelli che puliscono i vetri al semaforo.
A questo punto, nei panni di Bersani noi ci preoccuperemmo: con gli immigrati rischia di arrivare tardi, dopo le toghe rosse.
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